La storia di
Rapolla

Il nome discende dall’appellativo lucano “rappa”, località coltivata a vigneto, molto usato nell’economia del territorio.
Alcuni studiosi assegnano allo stesso termine un significato diverso, proponendo l’eccezione di “luogo pieno di spine”. Altri derivano la forma dal latino rapula, ravanello. L’origine di “rappa”, tuttavia, è da confrontarsi con l’italiano “rappa”, che vuol dire “raspo, ciocca”.

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Leggende di fondazione

Secondo la tradizione, la sua origine risale al tempo delle guerre di Roma e di Annibale. La memoria vorrebbe confermato ciò da una collina chiamata Cerz d’Annibal (quercia di Annibale), dove il condottiero africano si sarebbe accampato prima della battaglia contro il console Marcello, nel 210 a.C.;
Rapolla sarebbe, secondo alcuni studiosi, nominata da Plinio (circa 70 d.C.), nell’elenco delle città Daune, con il nome di Strapellum.

Origine attestata

Nel 984 giunge nel territorio del monte Vulture il monaco siciliano Vitale da Castronuovo, importante personaggio della comunità monastica di rito greco. Qui egli, in compagnia del nipote Elia, tra la data del suo arrivo e quella della sua morte (994), edifica un monastero di rito greco.

 

Il destino di Rapolla è un destino di distruzione e di lenta ma progressiva decadenza. Il paese viene, infatti, distrutto quattro volte. La prima nel 1137, durante le lotte contro Corrado III di Svevia e Lotario II, re di Germania ed Italia. La seconda distruzione avviene nel 1183: il vescovo di Melfi contende a quello di Rapolla la posizione di preminenza. Quest’ultimo resiste e, allora, homines di Melfi destruxerunt Rapollam (Del Re 1945, 470). Segue la distruzione operata nel 1254 da Galvano Lancia, suo signore. Egli vuole che i suoi vassalli riconoscano Manfredi come reggente del regno. Gli abitanti di Rapolla, sobillati dal vescovo, rifiutano schierandosi dalla parte di Papa Innocenzo IV (1243 – 1254). La punizione di Manfredi e di Galvano è tremenda. La città da quel giorno inizia a decadere. La distruzione, operata dal conte Lando, avviene nel 1381, durante le guerre tra Giovanna I, fedele all’antipapa ClementeVII, e Luigi d’Angiò re d’Ungheria, sostenitore del papa Urbano VI. Non manca un feroce saccheggio compiuto dalle truppe di Lautrec nel 1528 che operano nel meridione, teatro di scontri tra i Valois e gli Asburgo.

 

Dopo questa ennesima devastazione il paese non si riprende più, coadiuvato in ciò anche dai numerosi terremoti che si susseguono nel tempo. A tali calamità storiche e naturali si aggiungono alcuni feudatari senza scrupoli coinvolti nelle lotte di potere. Non tutti, però, agiscono così. Roberto il Guiscardo e i successori conti normanni Guglielmo, Liardo, Sansone di Rapolla e Guido da Rocca, migliorarono le condizioni generali di vita del paese dotandolo di mura e di un Castello. Roberto il Guiscardo in questo periodo appare essere tanto sicuro da invogliare Federico II ad alloggiarvi (1235) la madre di Manfredi. Oggi non c’è traccia del Castello. Così come non ve ne è dalla rocca longobarda che nel 982 ospita l’imperatore tedesco Ottone II. Dopo Galvano Lancia, Goffredo di Rapolla , partecipa alla congiura ghibellina contro Carlo d’Angiò. Proprio per questo, nel 1271, il feudo viene assegnato ad Herveo de Chevreuse (Enrico di Caprosia) e da ora ha inizio un frenetico succedersi di feudatari: Giovanni Galard (1275), Anelino de Toucy (1276), Leonardo, marito di Margherita de Toucy (1277) e Ugone de Sully (1279). Quest’ultimo in cambio di alcuni possedimenti in Terra d’Otranto, lo cede alla corona, la quale, a sua volta, lo affida al conte di Mirabella (1344). Tornato nel demanio regio, il feudo viene ceduto nel 1416 ai Caracciolo. Carlo V lo assegna a Diego Orlando di Medonza (1532). In seguito, dopo altri passaggi di proprietà, nel 1635 finisce nei possedimenti dei Caracciolo di Torella che lo governano fino al 1806, anno dell’eversione della feudalità

 

La storia ecclesiastica non è diversa per vivacità. La diocesi di Rapolla nasce prima del 1012 poiché a questa data Benedetto VIII dichiara suffraganeo di Siponto il vescovo di Rapolla (Ugelli 1707, VII, c. 820). In seguito ad a una bolla papale del 1068 la diocesi, insieme a quella di Melfi, viene sottomessa alla sede apostolica. Con i Normanni la diocesi si arricchisce di privilegi feudali e di dipendenze ecclesiastiche. Molti sono i documenti attestanti le richieste dei vescovi per il pagamento delle decime, parecchi quelli riguardanti gli inventari dei redditi e dei beni immobili appartenenti al vescovado. In un documento del 1361, contenente gli elenchi degli ecclesiastici tenuti a versare il censo dovuto alla curia papale di Avignone, il vescovo di Rapolla è riportato come colui che versa circa la metà della somma data dal clero lucano al papa (il censo delle diocesi lucane era 730 fiorini: 355 Rapolla, 112 Venosa, 82 Acerenza ecc.). Ma la ricchezza della diocesi è destinata a scemare. Nel 1528 è nominato vescovo Antonio Pucci. Egli, però, rinuncia in favore del nipote Giannotto, già vescovo di Melfi. Ecco riunite in una sola persona le due diocesi tra le più grandi della regione. Il 16 maggio 1528, con decreto di Clemente VII, la diocesi di Rapolla viene unita a quella di Melfi. Oggi Rapolla conserva il titolo di diocesi, ha il capitolo della Cattedrale, la Mensa vescovile e mantiene, fino a tutto il 1962, gli uffici di curia per i paesi di Atella, Rionero, Ripacandida, Ginestra, Barile e Monticchio. La vita monastica non ha molta fortuna a Rapolla. Essa conosce una certa vivacità con la venuta di Vitale da Castronuovo (984), che costruisce qui chiese, cappelle e un piccolo monastero, confermando il rito bizantino. I Normanni mettono le cripte eremitiche e il loro ricco patrimonio alle dipendenze della badia di Monticchio tenuta dei Benedettini.

 

Risale all’XI secolo, ma non si conosce la data precisa della sua fondazione. Ha uno stile bizantino. Di essa il francese storico dell’arte Bertaux dice che “non c’è disposizione più bizantina di questa, e S. Lucia deve essere citata fra gli edifici dell’Italia meridionale, una copia autentica di puro modello greco” (Bertaux 1897, 46). L’esterno presenta una facciata priva di decorazioni, un portale ad arco a tutto sesto e stipiti con capitelli decorati con foglie d’acanto. L’interno e a tre navate con volte a botte e con sei arcate per lato. E’ a doppia schiena di croce greca con due crociera poste l’una di seguito all’altra sovrastate da cupole ellittiche, racchiuse all’esterno in un tamburo quadrato e sormontate da un tetto triangolare a piramide. Vi sono custodite le tele: Annunciazione (XVIII secolo), di scuola napoletana; S. Giuseppe con Bambino (1777), di Giovanni Battista Vela. In quest’opera il pittore, “pure ostentando esperienze scenografiche ed arredamento d’effetto con balaustre, bracieri fumiganti, cuscini regali con mappe, cascate di raso e tende di velluto, appare sensibile a taluni aggiornamenti” (Grelle 1981, 222-223), introdotti nella pittura da alcuni suoi contemporanei ai quali si ispira per conferire una fisionomia tagliente a S. Giuseppe e una vivacità insolita al Bambino e agli angioletti. La cattedrale, intitolata a S. Maria Assunta, risale al 1209, quando a dare il via ai lavori è il vescovo Riccardo. Il progetto è dell’architetto-scultore Melchiorre da Montalbano, il quale la edifica nel luogo in cui in precedenza sorgeva l’antica cattedrale paleocristiana, andata distrutta dai melfitani nel 1183. La chiesa originariamente ha la pianta a croce latina, a tre navate ed è consacrata nel 1253. Tra il 1310 e il 1314 il vescovo Pietro di Catalogna aggiunge alle navate esistenti una quarta, coprendola con volte a cordoncino. Questo tempio segue le sorti imposte dai vari terremoti: lesioni o distruzioni e ogni volta risorge. 1456: distruzione quasi totale. 1694: crollo totale e ricostruzione grazie all’offerta fatta da papa Benedetto XIII anni dopo in visita alla zona.

L'ultimo crollo

L’ultimo crollo si verifica col terremoto del 1980. Della primitiva chiesa rimangono il portale (1251), i pilastri, i capitelli di Melchiorre e due bassorilievi (1209) scolpiti da Barolo di Muro Lucano, che propongono un concetto fondamentale del pensiero cristiano: il Peccato originale e l’Annunciazione, cioè la caduta e la redenzione dell’umanità avvenuta per mezzo di due donne, Eva e Maria. Vi sono custoditi, inoltre, la scultura lignea Crocifisso (XIII secolo), di ignoto; la tela Immacolata (1589), di Cristiano Donona e la Madonna del Carmelo con Anime purganti, Ss. Antonio ed Agostino (1777), dipinto di Giovanni Battista Vela. Una terza chiesa, dedicata all’Annunziata, è edificata nel 1770. Sono anni questi in cui si crea un nuovo assetto urbano: fuori le mura si sviluppa il cosiddetto Borgo di fronte che ha come punta estrema la Chiesa di S. Biagio, opera dei monaci greci ma in questo periodo riedificata. In tale rinnovo urbano nascono i palazzi Chiaromonte, Ferrara e Radino, famiglie esponenti della nuova borghesia terriera nata negli stessi anni, nel clima del riformismo borbonico di fine Settecento. I boschi che assediavano Rapolla sono stati tutti distrutti. E’ sopravvissuta la ricchezza delle acque, forse perché sotterranee, oggi sapientemente sfruttate da uno stabilimento termale.

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